La sorprendente varietà dei riti funebri nel mondo

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Nell’ immaginario collettivo occidentale esistono alcuni elementi comuni che vengono solitamente associati ai riti funebri, quasi fossero fotogrammi di un film drammatico: parenti ed amici del defunto abbigliati in nero, che prendono silenziosamente posto in chiesa per una cerimonia in cui si pregherà e si piangerà per la persona scomparsa; i necrofori che caricano in spalla il cofano funebre fino all’autofunebre; l’ arrivo al cimitero e la calata della cassa ricoperta di fiori nel terreno, circondata dagli sguardi di chi porge l’ultimo saluto.

Le tradizioni che rappresentano lo standard della cerimonia funebre, tuttavia, possono essere estremamente differenti in altri luoghi del mondo. 

 

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Ogni società ha le proprie usanze quando si tratta di tener vivo il ricordo dei defunti: mentre per molti l’urgenza di sentirsi vicini alle persone amate scomparse viene soddisfatta da una visita al cimitero, magari recando un omaggio floreale, alcuni si spingono molto oltre.

Nell’altopiano centrale del Madagascar milioni di persone praticano, nei mesi da giugno a settembre, un rito funebre chiamato famadihana. Ad alcuni anni di distanza dal decesso, i resti degli antenati di famiglia vengono riesumati dalle tombe in cui si trovano, avvolti in un nuovo drappo di seta e spruzzati con costosi profumi o vino, quindi vengono portati sulle spalle dei discendenti, che danzano intorno alla tomba. Alla fine della danza i resti vengono posati al suolo e circondati dai familiari, che accarezzano le spoglie mortali, chiedendo loro consigli e rivolgendo loro segrete preghiere, mentre risate e lacrime si mescolano.

Al termine della cerimonia funebre gli avi tornano alle loro sepolture, almeno fino al successivo famadihana.Nell’ isola indonesiana di Bali ogni famiglia si occupa di organizzare un adeguato ngaben quando muore un parente. Si tratta di un rituale di cremazione in cui la salma viene depositata in un sarcofago a forma di bue, chiamato lembu, o a forma di tempio (Wadah), costituito da carta e legno. Questo sarcofago viene portato in processione sino al luogo dove avviene la cremazione, in seguito le ceneri vengono raccolte in una noce di cocco e disperse in mare dopo un’ ultima cerimonia officiata da un ministro del culto (pedanda) ed accompagnata da una musica tradizionale balinese. Diversamente da un funerale, lo ngaben è un’occasione di festeggiamento per i balinesi poiché ritengono che tramite questo rituale funebre l’anima del defunto venga liberata e resa disponibile per la reincarnazione.

Se i resti degli antenati sono considerati preziosi in Madagascar, un’ opposta concezione delle spoglie mortali ispira la cosidetta “sepoltura celeste”, un antico rito funerario tibetano praticato anche ai giorni nostri da alcune comunità buddiste. La maggioranza dei tibetani e numerosi abitanti della Mongolia praticano una forma di buddismo che crede nella trasmigrazione delle anime, ragion per cui non c’è alcuna necessità di conservare rispettosamente la salma, che rappresenta semplicemente un involucro vuoto. Per questo motivo, un cerimoniere detto rogyapas si occupa di sezionare adeguatamente il corpo del defunto e di invocare gli avvoltoi affinché possano cibarsi della salma. Questa pratica che a noi può apparire certamente macabra viene considerata invece un gesto finale di generosità del defunto verso la natura. Seguiranno sette settimane di preghiere in cui i Lama guidano lo spirito attraverso gli stadi intermedi che preludono alla rinascita.